Tutte le cose della nostra vita di Sŏk-yŏng Hwang

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Tutte le cose della nostra vita di Sŏk-yŏng Hwang

Tutte le cose della nostra vita di Sŏk-yŏng Hwang il miracolo economico coreano raccontato attraverso gli occhi degli emarginati

«Occhiapalla aveva interrotto gli studi al primo semestre della quinta elementare ed era solo merito della madre che lavorava come ambulante se si erano potuti permettere di pagare l’affitto per un bugigattolo in un rione disagiato nella periferia della città e di non saltare nemmeno un pasto. Dopo un periodo trascorso a zonzo insieme ad altri coetanei del suo quartiere, si era messo a seguire la madre al mercato, finché non aveva trovato lí anche lui un impiego in un negozio d’abbigliamento. Mentre i negozi veri e propri erano ospitati all’interno di un imponente edificio che dava sulla strada principale, i laboratori di sartoria erano stipati in un vicolo sperduto sul retro. I proprietari prendevano in fitto degli androni, piazzavano al loro interno delle macchine da cucire e assumevano cinque o sei sarti. Occhiapalla sbrigava piccole mansioni, consegnava di corsa ai negozi dei vestiti confezionati nei laboratori oppure ritirava materiali come tessuti, fili e bottoni da portare ai sarti. Un giorno, quando ormai fuori era scuro, si recò nel negozio della mamma: trovò altre commesse che stavano riordinando la bottega, ma di lei non c’era traccia. 

– Dov’è andata la mamma? – chiese. 

– Boh, forse s’è trovata qualcuno, eheh! – ironizzò una delle signore, ma un’altra che le era di fianco subito s’intromise. 

– Mi pare che sia venuto tuo padre a cercarla, penso sia nel vicolo dei ristoranti. 

Preso in contropiede da quella risposta, si fiondò subito a cercarla. L’odore di pesce alla brace si sovrapponeva a quello di zuppa di salsiccia. Occhiapalla cercò con lo sguardo all’interno dei locali su ambo i lati del vicolo e, dopo averlo percorso su e giú, trovò finalmente la madre seduta a un tavolo di fronte a un uomo. Dato che era di spalle e da quell’angolatura non gli si vedeva il volto, il ragazzo non poté capire chi fosse; indossava una giacca militare da campo e un berretto sportivo blu. 

Occhiapalla si intrufolò nel ristorante e appena la mamma lo vide gli fece segno con la mano. Si avvicinò al tavolo e, prima ancora di avere il tempo di verificare chi fosse, il tipo allungò la mano e fece per accarezzarlo. Appena si accorse che non si trattava del padre, il ragazzo scansò la testa e indietreggiò.» 

Tutte le cose della nostra vita di Sŏk-yŏng Hwang. Einaudi. Edizione del Kindle (2020). 

Alla estrema periferia di una grande città della Corea del Sud, si estende un’enorme discarica chiamata Isola fiorita. E qui che vivono coloro che la metropoli ha emarginato e spinto verso la povertà, ed è qui che, negli anni Ottanta del secolo scorso, arrivano il quattordicenne Occhiapalla, il cui padre è recluso in un non meglio definito centro di recupero, e sua madre. Abitano in una baracca costruita con materiali di scarto e per sopravvivere si aggregano alle migliaia di persone che, suddivise in squadre, setacciano la discarica in cerca di cibo, di materiali riciclabili, di tutto ciò che gli abitanti della città hanno messo da parte. Ai margini della discarica, un luogo che priva gli individui della loro dignità, persone che non hanno piú il proprio nome ma solo nomignoli (Occhiapalla, Pelatino, Falco, il Barone), esiste un mondo diverso, eredità di una fase piú antica di Isola fiorita, una fantasmagoria di bellezza e natura, dove Occhiapalla e il suo nuovo amico Pelatino possono rifugiarsi. A metterli in contatto con questa realtà parallela è lo spirito di un bambino che di tanto in tanto misteriosamente appare e altrettanto misteriosamente scompare fra le nebbie che salgono dalla discarica. Sarà questa moderna reincarnazione di un tokkaebi, le leggendarie creature della mitologia e del folclore coreani, a condurre i ragazzi verso un tesoro nascosto che potrebbe consentire loro di cambiare completamente vita. Ma forse per gli abitanti di Isola fiorita, il riscatto non è proprio previsto. Ambientato negli anni della dura dittatura del generale Chun Doo-hwan, “Tutte le cose della nostra vita” mette in risalto gli esiti del rapido sviluppo economico della Repubblica di Corea che dall’essere uno dei paesi più poveri del mondo divenne una delle nazioni più industrializzate. Ma il prezzo di questo «miracolo economico» fu molto alto, tanto in termini di emarginazione economica e sociale, quanto in una dimensione più strettamente culturale, con l’adesione a un modello di vita basato su un consumismo sfrenato.

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