«Quando giunsero qui i lavori di costruzione della strada… il sorgo era alto fino alla vita, i giapponesi presero tutti gli uomini che potevano lavorare, ma quelli erano negligenti, li sabotavano …
Anche i due grandi muli neri della tua famiglia furono confiscati… costruirono un ponte di pietra sul fiume Moshui… Arhat Liu, quel lavorante nella tua casa… ci fu qualcosa di non proprio innocente tra lui e tua nonna, almeno così dicono tutti… eh sì, troppi ne ha avuti tua nonna quand’era giovane… tuo nonno era un uomo coraggioso, a quindici anni già uccideva, da bastardo si trasformò in eroe, capita una volta su dieci Arhat Liu cercò di spezzare con la pala le zampe dei muli i diavoli giapponesi lo scoprirono e lo scuoiarono vivo… i giapponesi erano crudeli, cacavano nelle nostre pentole e pisciavano nelle bacinelle. Quell’anno, una volta andai a prendere l’acqua, indovina cosa tirai su nel secchio: una testa umana con il codino ancora attaccato.» – Sorgo Rosso di Mo Yan
Sorgo Rosso di Mo Yan: la storia della famiglia e della vita del bandito Yu Zhan’ao fatta di guerra e di battaglie, di amori e tradimenti, della meschinità dell’uomo e della sua crudeltà. Una saga familiare che ritrae il periodo difficile e crudele nella regione cinese di Gaomi durante la guerra sino-giapponese.
La storia epica, grandiosa di questo capolavoro della letteratura cinese contemporanea, si staglia sullo sfondo degli sconfinati campi di sorgo «che in autunno scintillano come un mare di sangue».
Dal banditismo degli anni Venti, alla cruenta invasione giapponese degli anni Trenta e Quaranta, fino al periodo che precedette la Rivoluzione culturale, Sorgo rosso di Mo Yan racconta le avventure e gli amori del bandito Yu Zhan’ao e della sua famiglia, in un affresco che ritrae un intero popolo, tutto un Paese.
Un Paese dalle campagne brulicanti di anime sperdute – contadini, soldati, monaci buddisti, maghi taoisti – in cui «un vento maschio spazza una terra femmina» e il sangue versato è «morbido e liscio come piume d’uccelli».
RECENSIONE
“Ambientata nella regione di Gaomi durante la guerra sino-giapponese, il libro narra della vita del bandito Yu Zhan’ao narrata dal nipote Douguan.
La narrazione destrutturata, a mio avviso gestita molto bene, è molto accattivante ma rappresenta anche la difficoltà principale nella lettura. Tuttavia la scrittura di Mo Yan è fluida, le immagini potenti, le situazioni narrate interessanti e singolari.
Il romanzo cambia spesso prospettiva, narrando le vite dei vari personaggi a partire da alcuni nodi principali, una battaglia, un matrimonio, un funerale, dai quali si diramano i racconti dei vari eventi passati e delle vite dei personaggi: la nonna Dai Fengliang, la seconda nonna Lian’er, lo zio Arhat Liu, e molti altri.
Il libro narra di guerra e di battaglie, di amori e tradimenti, della meschinità dell’uomo e della sua crudeltà ritraendo un periodo difficile e crudele per la Cina. I personaggi agiscono per convenienza nel tentativo di sopravvivere e di far sopravvivere i propri cari alla violenza e alla crudeltà degli invasori giapponesi e delle bande armate – l’ottava armata, la brigata di Leng il Butterato, la società del ferro, i banditi di Collo Macchiato – le quali non sembrano avere rispetto per la vita e la dignità di nessuno.
Ma ci sono anche momenti di perdono, di comprensione e di grande lealtà legati proprio al bandito protagonista, che regalano respiro e completezza ad una storia altrimenti governata dalla sola disperazione e da un meccanismo di cinica fatalità che spesso sfocia in opportunismo. Le decisioni dei personaggi sono dure, talvolta discutibili, ma vere, reali, coraggiosamente scariche di elementi legati a territori moralmente confortanti se non nei precisi momenti focali accennati in precedenza.
Da sfondo a tutto, le distese di sorgo rosso, cibo dei contadini e soldati, fermentato per ottenere il vino che gonfia i loro ventri, campi di battaglia di uomini e cani, sepolcri senza nome di uomini, donne e bambini, spettatori muti di un mondo di brutale umanità.
Benché Mo Yan non mi sia parso provare particolare gusto morboso nelle descrizioni degli episodi più violenti e macabri, le efferatezze presenti nel libro, che non sono di sicuro frutto della sola fantasia dell’autore, potrebbero comunque urtare le anime più sensibili a tali oscurità del mondo, dunque mi sento di sconsigliare la lettura a questi ultimi.”
IL FILM TRATTO DAL ROMANZO
Da questo romanzo Zhang Yimou ha tratto il film omonimo, «Orso d’oro» al Festival di Berlino nel 1988. – Dall’edizione Einaudi 2014 del romanzo Sorgo Rosso di Mo Yan.
A questo link il film (Audio originale cinese e sottotitoli in inglese)
Rispondi