Satana a Goraj

«I più grandi cabbalisti di Polonia e di altri paesi avevano scoperto nello Zohar e in altri scritti cabbalistici numerose allusioni comprovanti che i giorni dell’esilio erano ormai contati. I massacri perpetrati da Chmel’nitskij erano le doglie che annunciavano la nascita del Messia. Secondo un calcolo segreto, tali doglie erano destinate a cominciare nell’anno 1648 e a continuare fino alla fine dell’anno in corso, quando sarebbe avvenuta la completa e perfetta redenzione. Di tutte queste cose si parlava sottovoce, e le notizie venivano sussurrate all’orecchio, in modo da non suscitare emozione nelle donne e negli uomini sprovveduti, dal comprendonio limitato. Ciononostante, anche il popolino, a modo suo, preconizzava l’aiuto che senza dubbio sarebbe venuto agli ebrei. Non v’era città, o quasi, in cui non vi fosse chi andava testimoniando che ben presto tutti gli ebrei sarebbero stati redenti. Alcuni dichiaravano di aver udito risuonare il grande corno d’ariete, ad annunciare la fine del mondo; altri incitavano il popolo a tornare a Dio, confessando i propri e gli altrui peccati; altri ancora improvvisavano danze di gioia per le strade e suonavano tamburi.»


Satana a Goraj di Isaac Bashevis Singer. (Adelphi 2018 Edizione Kindle)

Satana a Goraj, il primo romanzo di Isaac Bashevis Singer, il racconto yiddish dell’avvento di Shabbatay Tzevi, tra storia e superstizione.

Alle soglie del 1666 si diffuse in Polonia la notizia che per gli ebrei la fine dell’Esilio era imminente: un uomo chiamato Shabbatay Tzevi si era rivelato come il Messia, e presto una «nuvola sarebbe apparsa e li avrebbe portati tutti in Terra Santa». I segni non erano mancati: nel decennio precedente i cosacchi dell’atamano ucraino Chmel’nitskij avevano massacrato quasi centomila ebrei, «scorticando vivi gli uomini, sgozzando i bambini, violando le donne per poi squarciarne i ventri e cucirvi dentro gatti vivi». Ma quegli orrori non erano altro se non «le doglie che annunciavano la nascita del Messia». Per accelerare la liberazione – così dicevano gli emissari di Shabbatay Tzevi – bisognava immergersi nell’oscurità del peccato: solo la discesa agli inferi avrebbe consentito l’ascesa delle anime, e la perfetta redenzione. Anche gli abitanti di Goraj, «la città nascosta tra le colline in capo al mondo», si abbandonano dunque all’idolatria e alla licenza, infrangendo ogni legge. Ma la sciagura si abbatte su di loro: dopo aver giaciuto, benché sposata, con il capo dei sabbatiani, Rechele la profetessa viene posseduta da un dybbuk, e finisce per essere ingravidata da Satana, mentre la disperazione stringe in una morsa la città, stremata dalla carestia. Perché a Goraj «vi sia contentezza» bisognerà che le forze demoniache vengano scacciate, e il nome dell’Onnipotente sia di nuovo santificato. «Che meraviglioso, meraviglioso mondo,» ha scritto Henry Miller «un mondo bello e terribile, quello di Isaac Bashevis Singer, benedetto sia il suo nome!».

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