Questa è la prima parte di una rassegna nella quale verranno proposti in totale 50 romanzi del genere saghe familiari più o meno conosciuti pubblicati in italiano ed attualmente disponibili.
Come molti sanno, ed altri meno, con il termine saghe familiari, s’intende un racconto che coinvolge le vicissitudini di una famiglia nell’arco di una o più generazioni. All’interno del genere si trovano letture più leggere e più impegnative, da quelle opere considerate capolavori alle storie più semplici; in ogni caso si tratta di racconti che, attraverso le vicende degli appartenenti alle famiglie protagoniste, dal momento che il loro arco narrativo spesso abbraccia un lasso di tempo piuttosto ampio, ci descrivono le peculiarità di un determinato periodo storico e dei suoi cambiamenti sociali e politici all’avvicendarsi delle generazioni.
Questo specifico articolo dedicato ai classici del genere è il primo di 4 articoli che cercheranno di dare una visione il più ampia possibile del genere saghe familiari. Gli articoli di questo percorso di lettura saranno:
- I CLASSICI DEL GENERE SAGHE FAMILIARI
- LA SAGA FAMIGLIARE NEL DOPOGUERRA
- LE SAGHE FAMILIARI DEGLI ULTIMI DECENNI
- SAGHE FAMILIARI FANTASY E DI FANTASCIENZA
I titoli delle singole opere sono ordinati in ordine cronologico riferito alla prima pubblicazione in lingua originale.
GLI ALBORI E I CLASSICI DEL GENERE SAGHE FAMILIARI
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Il sogno della camera rossa. Romanzo cinese del secolo XVIII di Tsao Chan.
(prima ed. 1791)
“Come il Tao, Ts’ao Hsüeh-ch’in insegue una forma suprema, che insinua il meraviglioso nel banale, il vero nel falso, l’irreale nel reale… e ogni opposto prende il luogo dell’altro in un gioco di riflessi che non ha fine… forse nessun romanziere occidentale possiede l’oggettività di Ts’ao Hsüeh-ch’in: l’occhio chiaro e comprensivo, che fonde severità e dolcezza nella precisione della giustizia; l’intelligenza che maschera l’implacabilità del fato con la dolcezza soave dei modi. Cosi l’ambizione della letteratura moderna dopo Cechov è stata realizzata in questo libro, in questa cattedrale incompiuta, da un grande artista che diceva di averlo scritto per gioco, per ingannare la noia delle sere piovose.” (Pietro Citati)
Scritta intorno alla metà del 18 ° secolo durante la dinastia Qing e considerata come uno dei quattro grandi romanzi della letteratura cinese classica. Questa saga familiare è generalmente riconosciuta come l’apice della narrativa cinese.
Si crede che il romanzo sia semi-autobiografico in quanto racconta l’ascesa e il declino della famiglia dell’autore Cao Xueqin e della dinastia Qing. Il romanzo è notevole non solo per la sua enorme quantità di personaggi e la loro profondità psicologica, ma anche per la dettagliata descrizione della vita e delle strutture sociali tipiche della società cinese del 18 ° secolo, cosa che caratterizzerà anche tutte le saghe familiari successive.
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Cime Tempestose di Emily Brontë
(prima ed. 1847)
“Un romanzo in cui domina la violenza sugli uomini, sugli animali, sulle cose, scandito da scatti di crudeltà sia fisica sia, soprattutto, morale. Un romanzo brutale e rozzo – sono gli aggettivi utilizzati dalla critica dell’epoca – che scuoteva gli animi per la sua potenza e la sua tetraggine e che narra il consumarsi di un’inesorabile (sino a un certo punto) vendetta portata avanti con fredda meticolosità dal disumano Heathcliff. ‘Cime tempestose’ è un romanzo selvaggio, originale, possente, si leggeva in una recensione della ‘North American Review’, apparsa nel dicembre del 1848, e se la riuscita di un romanzo dovesse essere misurata unicamente sulla sua capacità evocativa, allora “Wuthering Heights” può essere considerata una delle migliori opere mai scritte in inglese. Tomasi di Lampedusa esprimeva il suo entusiastico e ammirato giudizio su Cime tempestose: ‘Un romanzo come non ne sono mai stati scritti prima, come non saranno mai più scritti dopo. Lo si è voluto paragonare a Re Lear. Ma, veramente, non a Shakespeare fa pensare Emily, ma a Freud; un Freud che alla propria spregiudicatezza e al proprio tragico disinganno unisse le più alte, le più pure doti artistiche. Si tratta di una fosca vicenda di odi, di sadismo e di represse passioni, narrate con uno stile teso e corrusco spirante, fra i tragici fatti, una selvaggia purezza.” (Dall’introduzione di Frédéric Ieva)
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I Malavoglia di Giovanni Verga
(prima ed. 1881)
Scritto nel 1881 è il primo romanzo dell’incompiuto ciclo “I vinti”, ed è considerato il capolavoro della letteratura verista. Verga supera il bozzettismo veristico per contribuire in modo fondamentale alla creazione di una tradizione narrativa realistica in Italia. Nella storia del declino dei Malavoglia egli dà una rappresentazione lucidamente critica della crisi di una civiltà arcaica investita da nuove, spietate leggi economiche. Il suo attaccamento ai valori più autentici di quella civiltà (la famiglia patriarcale, la casa del nespolo) si accompagna alla condanna dei suoi colpevoli ritardi; ma su tutto domina un pessimismo di fondo, un senso di immobilità e immutabilità dei destini sociali e umani che è in netto contrasto con gli ottimismi trionfanti della borghesia italiana postunitaria.
Dall’incipit del libro: “Questo racconto è lo studio sincero e spassionato del come probabilmente devono nascere e svilupparsi nelle più umili condizioni, le prime irrequietudini pel benessere; e quale perturbazione debba arrecare in una famigliuola vissuta fino allora relativamente felice, la vaga bramosia dell’ignoto, l’accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe star meglio. Il movente dell’attività umana che produce la fiumana del progresso è preso qui alle sue sorgenti, nelle proporzioni più modeste e materiali. Il meccanismo delle passioni che la determinano in quelle basse sfere è meno complicato, e potrà quindi osservarsi con maggior precisione. Basta lasciare al quadro le sue tinte schiette e tranquille, e il suo disegno semplice. Man mano che cotesta ricerca del meglio di cui l’uomo è travagliato cresce e si dilata, tende anche ad elevarsi, e segue il suo moto ascendente nelle classi sociali.”
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I Viceré di Federico De Roberto
(prima ed. 1894)
Sulla strada tra “Mastro don Gesualdo” di Verga e “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa si colloca il macigno rappresentato da “I Viceré”… Prima del “Gattopardo” ci sono “I Viceré”, che con il romanzo di Lampedusa non condividono solo la bellezza e l’eleganza, intesa come ricercatezza formale e come fascino di alcuni personaggi… La voce di De Roberto – che pure scrive il più importante romanzo politico capace di farsi portavoce della delusione del Sud nei confronti dell’Italia unita – non resta isolata… arrivando fino al “Sorriso dell’ignoto marinaio” di Vincenzo Consolo (1976) e a “Un filo di fumo” di Andrea Camilleri (1980). Introduzione di Giovanni Capecchi.
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I Buddenbrook. Decadenza di una famiglia di Thomas Mann
(prima ed. 1901)
Uno dei capisaldi del genere delle saghe familiari, i Buddenbrock è la storia dell’ascesa e del declino di una famiglia della borghesia mercantile del sec. XIX, titolare a Lubecca di una ditta di cereali, fondata nel 1768. La vicenda si intreccia introno alla vita dei primogeniti di quattro generazioni: Johann senior, Johann-Jean junior, Thomas e Hanno. Il romanzo si apre con un pranzo dato dal vecchio Johann per inaugurare la nuova sede della ditta. Le fortune della famiglia aumentano, Johann junior diventa console dei Paesi Bassi, Thomas senatore. Thomas acquista una nuova sede ancora più prestigiosa dell’altra, ma i germi della decadenza diventano sempre più evidenti. Christian, fratello minore di Thomas, muore in sanatorio; la sorella Tony passa da un matrimonio all’altro, l’ultimo erede Hanno muore infine di tifo.
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La saga dei Forsyte di John Galsworthy
(prima ed. 1921)
Con “La saga dei Forsyte”, John Galsworthy, descrive il tramonto della società vittoriana fino al primo dopoguerra. Tale capolavoro gli valse nel 1932 il Premio Nobel per la Letteratura. Come per tutti i grandi classici, nonostante il divario temporale, il fittissimo intreccio della famiglia Forsyte – fatto d’affetto ma anche d’ostilità latente, di generosità ma anche di tornaconto – si fa specchio di molte verità che, nel bene e nel male, spesso ancora ci appartengono. Leggere i Forsyte, dunque, equivale a leggere di noi, delle nostre famiglie come delle nostre solitudini. Perché, ancora una volta, è dal capolavoro che impariamo a leggere l’uomo.
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Jalna di Mazo De La Roche
(prima ed. 1927)
“Jalna” è il primo romanzo di una serie amatissima tra le saghe familiari che, a partire dagli anni Venti, conquistò generazioni di lettori, con undici milioni di copie vendute e centinaia di edizioni in tutto il mondo. All’epoca della sua prima uscita, la saga di Jalna, ambientata in Canada, era seconda solo a “Via col vento” fra i bestseller. Grazie a quest’opera, l’autrice, paragonabile a Thomas Hardy, ottenne fama internazionale e fu la prima donna a vincere il prestigioso Atlantic Monthly Prize. I Whiteoak, numerosa famiglia di origini inglesi, risiedono a Jalna, grande tenuta nell’Ontario che deve il suo nome alla città indiana dove i due capostipiti, il capitano Philip Whiteoak e la moglie Adeline, si sono conosciuti. Molto tempo è trascorso da quel fatidico primo incontro. Oggi – siamo negli anni Venti – l’indomita Adeline, ormai nonna e vedova, tiene le fila di tutta la famiglia mentre aspetta con ansia di festeggiare il suo centesimo compleanno insieme a figli e nipoti: a partire dal piccolo Wakefield, scaltro come pochi, infallibile nell’escogitare trucchi per non studiare e sgraffignare fette di torta, fino al maggiore, Renny, il capofamiglia, grande seduttore che nasconde un animo sensibile. La vita a Jalna scorre tranquilla, fino a quando due nuore appena acquisite arrivano a scombussolarne gli equilibri: la giovanissima Pheasant, figlia illegittima del vicino, il cui ingresso in famiglia è accolto come un oltraggio, e la deliziosa Alayne, americana in carriera che, al contrario, con la sua grazia ammalierà tutti, specialmente gli uomini di casa…
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La buona terra di Pearl S. Buck
(prima ed. 1931)
Universalmente considerato il capolavoro di Pearl S. Buck, La buona terra (1931) è il primo romanzo della trilogia The House of Earth che narra le vicende della famiglia di Wang Lung, visceralmente attaccato alla sua terra, e dell’umile e rassegnata O-Lan, sua moglie. Il tema centrale è quello della vita patriarcale, legata a usanze secolari, del contadino cinese, per il quale la terra rappresentava tutto: il benessere, l’unione della famiglia, le tradizioni più sacre, le virtù delle generazioni passate e le speranze di quelle future. La buona terra è il libro che ha decretato la fama della Buck, che in questo romanzo descrive con sobrietà, potenza e un senso profondo e sottile di umanità un mondo di umili e oppressi. La sua scrittura, realistica e schiva, dal lessico scarno, ma capace di suscitare emozioni, affascina i lettori con la novità di un racconto che rivela un Paese fino allora sconosciuto, con la sua millenaria cultura, la sua antica miseria, la sua dignità, la sua poesia delle cose semplici.
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Come le mosche d’autunno di Irène Némirovsky
(prima ed. 1931)
È lei, Tat’jana Ivanovna, la vecchia nutrice, a preparare i bagagli di Jurij e di Kirill, i ragazzi che partono per la guerra; ed è lei a tracciare il segno della croce sopra la slitta che li porterà via nella notte gelata. Sarà ancora lei a rimanere di guardia alla grande tenuta dei Karin allorché la famiglia dovrà, come tanti, rifugiarsi a Odessa e ad accogliere Jurij quando tornerà, sfinito, braccato. Né si perderà d’animo, la vecchia nutrice, quando dovrà camminare tre mesi per raggiungere i padroni e consegnare loro i diamanti che ha cucito a uno a uno nell’orlo della gonna. Grazie a quelli potranno pagarsi il viaggio fino a Marsiglia, e proseguire poi per Parigi. Nel piccolo appartamento buio che hanno preso in affitto Tat’jana vede i Karin girare in tondo, dalla mattina alla sera, come fanno le mosche in autunno. Lei, che è stata testimone del loro splendore, che li ha visti crescere, che li ha curati e amati per due generazioni con fedeltà inesausta, li vedrà adesso vendere le posate, i pizzi, perfino le icone che hanno portato con sé. Sembra che nessuno di loro voglia ricordare ciò che è stato; solo lei, Tat’jana Ivanovna, ricorda: così una notte, quella della vigilia di Natale, mentre tutti sono fuori a festeggiare, si avvia da sola, avvolta nel suo scialle, verso la Senna.
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Furore di John Steinbeck
(prima ed. 1940)
Pietra miliare della letteratura americana, “Furore” è un romanzo pubblicato negli Stati Uniti nel 1939 e coraggiosamente proposto in Italia da Valentino Bompiani l’anno seguente. Il libro fu perseguitato dalla censura fascista e solo ora, dopo più di 70 anni, vede la luce la prima edizione integrale, nella nuova traduzione di Sergio Claudio Perroni. Una versione basata sul testo inglese della Centennial Edition dell’opera di Steinbeck, che restituisce finalmente ai lettori la forza e la modernità della scrittura del Premio Nobel per la Letteratura 1962. Nell’odissea della famiglia Joad sfrattata dalla sua casa e dalla sua terra, in penosa marcia verso la California, lungo la Route 66 come migliaia e migliaia di americani, rivive la trasformazione di un’intera nazione. L’impatto amaro con la terra promessa dove la manodopera è sfruttata e mal pagata, dove ciascuno porta con sé la propria miseria “come un marchio d’infamia“. Al tempo stesso romanzo di viaggio e ritratto epico della lotta dell’uomo contro l’ingiustizia, “Furore” è forse il più americano dei classici americani, da leggere oggi in tutta la sua bellezza.
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La famiglia Karnowski di Israel J. Singer
(prima ed. 1943)
Israel J. Singer è un maestro dimenticato, rimasto per troppo tempo nel cono d’ombra del più celebre fratello minore Isaac B., Premio Nobel per la letteratura. La pubblicazione di questo libro ha quindi il sapore di un evento, e di un risarcimento: finalmente, il lettore potrà immergersi nell’affresco familiare in cui si snoda, attraverso tre generazioni e tre paesi – Polonia, Germania e America -, la saga dei Karnowski. Che comincia con David, il capostipite, il quale all’alba del Novecento lascia lo shtetl polacco in cui è nato, ai suoi occhi emblema dell’oscurantismo, per dirigersi alla volta di Berlino, forte del suo tedesco impeccabile e ispirato dal principio secondo il quale bisogna “essere ebrei in casa e uomini in strada“. Il figlio Georg, divenuto un apprezzato medico e sposato a una gentile, incarnerà il vertice del percorso di integrazione e ascesa sociale dei Karnowski – percorso che imboccherà però la fatale parabola discendente con il nipote: lacerato dal disprezzo di sé, Jegor, capovolgendo il razzismo nazista in cui è cresciuto, porterà alle estreme conseguenze, in una New York straniate e nemica, la contraddizione che innerva l’intera storia familiare.
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Ritorno a Brideshead di Evelyn Waugh
(prima ed. 1945)
Pubblicato nel 1945, “Ritorno a Brideshead” è il primo romanzo di Waugh nel quale la tematica religiosa cattolica abbia un’importanza pari all’intento satirico. È la storia dell’inarrestabile decadenza dell’aristocratica famiglia dei Flyte che si consuma in un’antica dimora in cui immutabili riti e cerimonie stanno per essere spezzati via dai tempi nuovi, ma è anche un’impareggiabile e commossa rievocazione degli anni della giovinezza trascorsi in colleges esclusivi; è la constatazione che la vita non può prescindere dalla religione, è il sarcastico ritratto di una classe sociale chiusa in se stessa che sta per essere travolta dalla tempesta della guerra.
Nel 2005 il libro venne incluso dalla rivista TIME tra i 100 migliori romanzi in lingua inglese dal 1923.
Nel 1981 il romanzo venne adattato nella serie televisiva omonima, e nel 2008 venne portato sul grande schermo nel film di Julian Jarrold.
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