Le ballate di Narayama

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Le ballate di Narayama di Shichirō Fukazawa, un viaggio intenso e lacerante nelle tradizioni dell’antico Giappone rurale

«Montagne che si susseguono a montagne, montagne a perdita d’occhio. E proprio in mezzo a tutte quelle montagne, nella provincia di Shinshū, al lato opposto di un altro villaggio, detto «il villaggio di fronte», sorgeva quello in cui si trovava la casa di Orin. 

Davanti alla casa c’era il ceppo di un albero di keyaki, sulla cui superficie, piatta come una tavola, i bambini o le persone di passaggio amavano sedersi. Per questo la gente del villaggio chiamava la casa «Il ceppo». Orin vi era giunta in sposa cinquant’anni addietro, proveniente da quello che per tutti era «il villaggio di fronte». I due villaggi non avevano un vero nome, quindi gli abitanti di ognuno dei due chiamavano l’altro «il villaggio di fronte», anche se in realtà erano separati da una montagna. Orin aveva compiuto sessantanove anni. Suo marito era morto vent’anni prima, e la moglie del suo unico figlio Tatsuhei, l’anno precedente, andando a raccogliere le castagne era rotolata giù per una scarpata e aveva perso la vita. Il compito di cercare una nuova moglie per Tatsuhei, che era rimasto solo, preoccupava Orin ben più dei quattro nipoti rimasti senza madre ai quali doveva badare. La difficoltà nasceva dal fatto che né nel loro villaggio né in quello di fronte c’era una vedova adatta.»

Le ballate di Narayama di Shichirō Fukazawa. Adelphi. Edizione del Kindle (2024).

Non ci sono che montagne a perdita d’occhio intorno al remoto villaggio dove la vecchia Orin vive con il figlio Tatsuhei e i quattro nipoti. Un villaggio primordiale, soggetto alla legge implacabile della sopravvivenza, e insieme immobilizzato nel tempo inafferrabile di favole e leggende, dove riecheggiano ballate dai versi poetici e crudeli. E quando in famiglia si aggiungono due bocche da sfamare – la nuova moglie di Tatsuhei e quella di Kesakichi, il più grande dei nipoti –, e si approssima il traguardo dei settant’anni, un solo, gioioso pensiero occupa la mente di Orin, da sempre abituata a pensare agli altri prima che a se stessa: prepararsi degnamente per il pellegrinaggio al Narayama, la lontana montagna dove abita un dio. Lì il figlio, dopo averla portata sulle spalle sino in cima, la abbandonerà al suo destino, come vogliono norme ancestrali, atroci ai nostri occhi eppure serenamente accettate. E mentre seguiremo la silenziosa ascesa di Orin e Tatsuhei, fra valli che paiono abissi senza fondo e vette dove i corvi volteggiano sul candore delle ossa, non potremo fare a meno di chiederci se questo romanzo aspro e lacerante, caduto come un meteorite nella letteratura giapponese degli anni Cinquanta, sia davvero il frutto dell’invenzione di un outsider – o non scaturisca piuttosto dagli strati più profondi del nostro inconscio.

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