L'attesa di Seicho Matsumoto

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L'attesa di Seicho Matsumoto

L’attesa di Seicho Matsumoto il ritratto di una società asservita al profitto e affetta da una temibile astenia etica.

«Nobuhiro aveva sessantasette anni. Isako sperava che non vivesse fino a ottanta o novant’anni. Se fosse morto a ottant’anni, lei ne avrebbe avuti cinquanta, e se fosse morto a novanta, sessanta. Una donna a quell’età è vecchia e nessuno la vuole più. Doveva liberarsi di lui intorno ai quarant’anni, o giù di lì. A quell’età sarebbe potuta tornare alla sua precedente occupazione di gerente di un locale. E sarebbe stata libera di innamorarsi. Negli ultimi tempi lo stato di salute di Nobuhiro sembrava essersi deteriorato. Il che non era affatto una cattiva notizia. Di questo passo era improbabile che vivesse ancora a lungo. Quanto più breve era il tempo che gli restava da vivere, tanto più lei si sarebbe prodigata per lui. E il suo piano si sarebbe compiuto più rapidamente. Le due figlie ormai non volevano più neppure avvicinarsi a quella casa. A volte il marito della figlia maggiore, per senso del dovere, telefonava a Nobuhiro o lo andava a trovare sul lavoro. Il genero era a capo di una piccola azienda. Probabilmente andava a trovarlo in ufficio anche la figlia. Quella minore era ancora nubile ed era pittrice. Aveva convissuto con almeno tre uomini diversi, uno dei quali era francese. Le figlie andavano a trovare il padre in ufficio per riscuotere la paghetta. Soprattutto la figlia minore. Nobuhiro non diceva nulla, ma Isako lo intuiva. A volte buttava lì a Nobuhiro un commento sarcastico, giusto per non sembrargli una stupida del tutto inconsapevole. Non sopportava quella graduale erosione del patrimonio, era come se dei topolini lo rosicchiassero a piccoli morsi. Lui sembrava a disagio, così mostrava riserbo.»

L’attesa di Seicho Matsumoto. Adelphi. Edizione del Kindle (2024). 

Isako ha un piano audace, meticoloso: sbarazzarsi nel giro di tre anni dell’anziano marito, Nobuhiro, che con le sue invenzioni ha fatto la fortuna della S. Optics, e impadronirsi di tutto ciò che possiede. Certo, può contare sul fatto che Nobuhiro è fragile di cuore, ma deve prima estorcergli un testamento che escluda le due figlie che lui ha avuto da un precedente matrimonio. Sesso e denaro: nient’altro conta per Isako. Seducente com’è, del resto, non ha problemi a manipolare gli uomini: dal marito, che la ama con senile devozione, al giovane che si porta a letto, il fascinoso Kanji, all’ex amante Shiotsuki – nipote di un alto papavero del Partito conservatore –, di cui sfrutta le influenti relazioni. Per Isako, in fondo, non sono che strumenti, sacrificabili. Difatti, quando Kanji viene accusato di aver picchiato a morte la donna con la quale viveva, pur di non essere coinvolta non esita a chiedere all’avvocato difensore – che lei stessa ha ingaggiato con l’aiuto di Shiotsuki – di farlo condannare. Anche l’avvocato, Saeki, non saprà d’altro canto resisterle a lungo. C’è però un nemico invisibile che nessuno può sgominare, il solo in grado di sventare le più gelide macchinazioni: il caso, di cui il finale svelerà la sbalorditiva incarnazione. Ritratto memorabile di una dark lady dalla sconfinata cupidigia, “L’attesa” è come sempre anche il ritratto di una società – quella del Giappone dei primi anni Settanta – asservita al profitto e affetta da una temibile astenia etica.

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