Kim-Ji Young, nata nel 1982 di Cho Nam-Joo uno sguardo sulla condizione delle donne nella società coreana.
«Quando Kim Ji-Young nacque il primo d’aprile del 1982 all’ospedale di Seoul, pesava due chili e novecento grammi ed era alta circa cinquanta centimetri. A quel tempo suo padre lavorava per il governo coreano, mentre sua madre era casalinga. Due anni prima era nata sua sorella, mentre suo fratello sarebbe nato cinque anni dopo. Viveva in una casa a schiera di poco più di trentatré metri quadrati, composta da una cucina con il soggiorno e il bagno. Lì in tutto abitavano sei persone: Kim Ji-Young, sua nonna, suo padre, sua madre e i suoi fratelli.
Uno dei ricordi più remoti di Kim Ji-Young risale a quando aveva cercato di rubare il latte in polvere al fratello piccolo. Considerata la differenza d’età, lei doveva avere sei o sette anni. Ogni volta che la madre dava il latte al fratello, Kim Ji-Young si metteva a terra e con le dita piene di saliva cercava di infilarle nella confezione. Non sapeva perché, ma le piaceva moltissimo. A volte la madre le diceva di piegare indietro la testa e le posava sulla lingua un po’ di latte in polvere che si impastava con la saliva formando una sostanza dolce, soffice e appiccicosa come il caramello. Il retrogusto era piuttosto delicato e per niente amaro.
La nonna, però, non apprezzava molto il fatto che Kim Ji-Young sottraesse il latte al fratello. Quando la beccava a prendere il latte di nascosto, le dava uno schiaffo sulla schiena così forte da farle sputare il latte dal naso e dalla bocca. Anche sua sorella Kim Eun-Young, che era più grande di Ji-Young di due anni, non prese più il latte in polvere dopo aver ricevuto un rimprovero dalla nonna.».
Kim-Ji Young, nata nel 1982 di Cho Nam-Joo. La Tartaruga. Edizione del Kindle (2021).
Kim Ji-young, che è stata una normalissima bambina e adolescente, ora ha trent’anni, da un paio di anni è sposata e ha lasciato malvolentieri il lavoro per prendersi cura della sua bambina a tempo pieno. Un giorno, però, Ji-Young inizia a fingere di essere un’altra persona. Prima impersona sua madre, poi una vecchia compagna di scuola: non è uno scherzo, si immedesima completamente in loro, imitandone la voce e il pensiero in modo così perfetto che sembra quasi posseduta da un demone.
All’inizio il marito liquida in fretta questi incidenti, ma la situazione peggiora e presto diventa chiaro che Ji-Young soffre di una sorta di disturbo mentale. Così le organizza sedute di terapia con uno psichiatra, che inizia a registrare la sua storia, che è poi la storia di tutte le donne: una storia di pregiudizi, di limitazioni, di accuse e di colpe attribuite gratuitamente; una storia di soprusi e di silenzi, di trattamenti differenziati – a scuola, a casa, nel lavoro; una storia in cui una donna è costretta a scegliere tra la carriera e la famiglia, in cui è sottoposta a severo giudizio qualunque cosa faccia e in cui la sua sofferenza – fisica e mentale – non conta mai davvero quanto quella degli altri, neppure per chi le vuole bene.
Un romanzo crudo, ambizioso e straordinario, che offre uno sguardo onesto e senza veli sulla condizione delle donne nella società coreana, e non solo, e che racconta la misoginia attraverso la metafora spiazzante e radicale di una donna che, pur di essere finalmente libera, è costretta a perdere se stessa e la propria voce.
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