Il detective Kindaichi di Yokomizo Seishi, una delle voci più importanti della crime story giapponese.
«Fu la sera del 23 novembre 1937, giusto due giorni prima del tragico evento. Quando l’uomo giunse dalla strada che portava a Kawamura, la proprietaria della locanda era seduta fuori su uno sgabello pieghevole a chiacchierare del più e del meno con un cocchiere e un impiegato del municipio. Arrivato di fronte alla locanda, l’uomo si fermò improvvisamente.
«Chiedo scusa. Sapreste dirmi come si arriva alla casa degli Ichiyanagi?».
I tre, che erano immersi in una futile conversazione, furono attratti immediatamente dall’abbigliamento e dal viso dell’uomo. Che cosa poteva mai volere un tipo dall’aspetto così trasandato da gente ricca come gli Ichiyanagi? Indossava una sinistra maschera e un cappello stropicciato che gli nascondevano buona parte del viso. Da sotto il cappello fuoriuscivano ciocche di capelli scarmigliati mentre una folta barba gli ricopriva le guance. Non portava il soprabito, e teneva sollevato il bavero della sudicia giacca. Forse per ripararsi dal freddo. I pantaloni erano sporchi e ricoperti di polvere, all’altezza dei gomiti e delle ginocchia gli abiti apparivano oltremodo consumati. Entrambe le scarpe presentavano grossi buchi ed erano completamente impolverate. Sembrava molto affaticato. Poteva avere forse una trentina di anni.».
Il detective Kindaichi di Yokomizo Seishi. Sellerio. Edizione del Kindle (2019).
Un enigma della camera chiusa. Doppio omicidio nella dépendance della grande magione degli Ichiyanagi, ricchi e influenti possidenti. Il primogenito Kenzo, assieme alla giovane moglie, è ritrovato sgozzato, immersi i due corpi in un lago di sangue, nello stesso giorno delle nozze. L’ambiente dove è avvenuto il delitto è ermeticamente chiuso dall’interno, e l’arma del delitto, una spada tradizionale giapponese, giace a terra fuori dalla porta. Un brivido di terrore in più, che raggela gli abitanti della dimora, viene dal suono inspiegabile, nelle tardissime ore della notte, di un antico strumento a corde, il koto (il narratore della vicenda si riferisce ad essa come al «caso del koto stregato»). E nei dintorni si aggira uno strano personaggio, il viso sfregiato e solo tre dita nella mano, le cui impronte si trovano dappertutto. Yokomizo Seishi, massimo esponente del crime nipponico, attivissimo nei decenni di metà secolo scorso nell’epoca d’oro del giallo deduttivo, aveva una passione per il sottogenere della camera chiusa, tanto da essere soprannominato il «John Dickson Carr giapponese». In comune con il suo omologo anglosassone, aveva la capacità di tinteggiare le atmosfere di un terrore che sfiorava il soprannaturale, oltre al talento di ideare «miracoli criminali». Gli ingredienti essenziali di questo sottogenere sono tre. La tensione del mistero inspiegabile che si scioglie con la scoperta del geniale marchingegno dell’assassino. L’ambientazione suggestiva: come è appunto quella inusuale, tenebrosa, alquanto esotica del mondo dei grandi ex feudatari nipponici. E infine il fascino del bizzarro investigatore: e quello di Yokomizo Seishi, il detective privato Kindaichi Kósuke, è giovanissimo, un ventenne, di piccola statura, trasandato nel vestire quasi oltre la decenza, presuntuoso a rasentare lo sprezzo.
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