Follie di Brooklyn

Stavo cercando un posto tranquillo per morire. Qualcuno mi raccomandò Brooklyn e così la mattina dopo partii dalla contea di Westchester e andai fin là per fare un sopralluogo. Non ci tornavo da cinquantasei anni, e non ricordavo nulla. […] Da un punto di vista rigorosamente antropologico scoprii che i brooklyniani sono meno restii a parlare con gli sconosciuti di qualunque tribù avessi incontrato prima. Si impicciano spudoratamente degli affari del prossimo (vecchiette che rimproverano giovani mamme perché non vestono i loro bambini in modo adeguato, i padroni dei cani perché li tirano troppo forte per il guinzaglio); litigano per i posti nei parcheggi come bambini dell’asilo nevrotici; e lanciano battute folgoranti come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Follie di Brooklyn di Paul Auster

Follie di Brooklyn di Paul Auster: il caso, il destino e il calore di ritrovare se stessi ritornando dove si ha cominciato.

Raggiunta ormai l’età della pensione, Nathan Glass ritorna a Brooklyn, la città dov’è nato e che ha lasciato quasi sessant’anni prima. Trasloca a Brooklyn con l’intenzione precisa di cercare un buon posto per morire. Ma il caso ha deciso per lui diversamente. Gli amori infelici del nipote Tom, le avventure del libraio-falsario Harry Brightman, l’apparizione improvvisa della piccola Lucy, che rifiuta di svelare dove si trova sua madre, sorella di Tom. Nathan pensava di dedicarsi a un progetto, la scrittura di un Libro della follia umana, ma le follie sono lí, appena fuori dalla porta, nel piú vivo e colorato angolo di New York. Come in Smoke e in Blue in the Face, la città e un suo quartiere, Park Slope, diventano straordinari protagonisti. Paul Auster scrive, con Follie di Brooklyn, una commedia dalla trama apparentemente spensierata. Una commedia che termina però la mattina dell’11 settembre 2001, data oltre la quale i lieto fine diventeranno di colpo piú amari e difficili.

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