Estranei di Taichi Yamada l’horror psicologico dal quale è stato tratto il film diretto da Andrew Haigh.

«Una sera, all’incirca tre settimane dopo l’inizio della mia nuova vita da scapolo, restai colpito da quanto l’edificio fosse silenzioso. Troppo silenzioso, pensai.

Non che fosse un eremo di montagna; al contrario, la palazzina di sette piani si affacciava direttamente sulla movimentata statale 8 di Tokyo, dove il traffico non conosceva interruzioni in nessun momento della giornata.

Quando avevo cominciato ad abitarci a tempo pieno, in effetti, il rumore incessante mi aveva tenuto sveglio di notte. Grossi camion che sceglievano le ore notturne per viaggiare, quando il traffico non era troppo pesante, filavano uno dietro l’altro, e il rombo fragoroso pareva sgorgare dal profondo della terra. Disteso sul letto in balia di quel frastuono, mi sentivo mancare il fiato. Grazie al semaforo un centinaio di metri più in là, il rumore cessava a intervalli, per squarciare il silenzio con intensità ancora maggiore dopo qualche istante, quando i camion si rimettevano in moto. L’implacabile frastuono ricominciava, il cuore mi batteva sempre più forte, le pareti mi si stringevano intorno e scattavo in piedi, boccheggiando.

Mi occorse una decina di giorni per abituarmi al martellamento continuo.

Quando avevo considerato la possibilità di passare la notte in quell’appartamento, ai tempi in cui era ancora soltanto il mio ufficio, avevo scartato l’idea senza pensarci due volte, sapendo che non sarei mai riuscito a dormire. Ma, con il conto in banca prosciugato dopo il divorzio, non potevo permettermi di traslocare da nessun’altra parte; non avendo scelta se non stabilirmi lì, presto scoprii che davvero ci si può adattare perfino a condizioni simili. Alla fine, il rombo incessante del traffico era sprofondato nei recessi più remoti della mia coscienza, come pure il ronzio del condizionatore, e, a volte, mi accorgevo, sorpreso, che il tic tac della lancetta dei secondi sull’orologio alla parete era ormai l’unico suono di cui fossi consapevole.

Così giunsi al punto di pensare che l’edificio fosse veramente troppo silenzioso, e fui costretto a domandarmi dove mi stessero conducendo i miei stessi sensi.

Quella sensazione di silenzio eccessivo mi colse per la prima volta una notte, verso la fine di luglio, mentre lavoravo seduto alla scrivania, poco dopo le undici. Un brivido mi corse lungo la spina dorsale e mi sentii come sospeso nel mezzo di un enorme abisso buio, completamente solo.» 

Estranei di Taichi Yamada. Editrice Nord. Edizione del Kindle (2024). 


Harada Hideo è un uomo di mezz’età, divorziato, con un figlio che non vede quasi mai e un lavoro – scrivere sceneggiature per la televisione – che stenta a decollare. Per di più, vive nel suo ufficio, in una grande e asettica palazzina nei pressi di una trafficata strada statale di Tokyo. Così, per sfuggire allo squallore e alla solitudine della propria esistenza, il giorno del suo compleanno Hideo decide di recarsi ad Asakusa, il quartiere della sua infanzia, dove a dodici anni aveva perduto entrambi i genitori, investiti da un’auto. Ma, quando entra in un teatro, tra il pubblico nota un individuo straordinariamente somigliante al padre. L’uomo lo invita a seguirlo a casa sua, dove lo aspetta la moglie: anche lei è identica alla madre morta… Hideo trascorre con i due una serata sconcertante e meravigliosa, e questo gli dà la forza di riprendere a lavorare con rinnovata energia. Gli incontri si susseguono, e sono una fonte di gioia e serenità, eppure… Hideo appare agli occhi dei suoi amici sempre più pallido e smunto, come se un male oscuro lo stesse consumando. La più angosciata di tutti è Kei – una vicina di casa con la quale Hideo ha intrecciato una relazione sentimentale –, che, una volta scoperto il suo segreto, gli consiglia di interrompere quelle visite, perché è evidente che lo stanno distruggendo. Ma anche Kei nasconde una verità inquietante…

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