Don DeLillo – Tutti i romanzi dal 1971 ad oggi

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« Tutto è qualche settimana appena. Tutto è questione di giorni. La vita è fatta di minuti.»

Donald Richard DeLillo (New York, 20/11/1936), nato e cresciuto nel Bronx da genitori molisani originari di Montagano, è considerato tra i più importanti scrittori americani contemporanei e tra i maggiori esponenti della letteratura postmoderna americana.

Don DeLillo i romanzi bibliografia

Due volte finalista del premio Pulitzer per la fiction (con i romanzi Mao II nel 1992 e per Underworld nel 1998), riceve il National Book Award nel 1985 per Rumore Bianco, nel 1992 vince il PEN/Faulkner Award per Mao II (viene nominato per PEN/Faulkner Award anche nel 2012 per la raccolta di racconti l’angelo Esmeralda), è il primo scrittore a ricevere il neonato Library of Congress Prize for American Fiction nel 2013.

DUE PAROLE SU DON DELILLO: Di non facile approccio, data la complessità dello stile – caratterizzato da una fortissima attenzione per le potenzialità della scrittura e della parola – e la molteplicità di tematiche, trame e forme espressive, i romanzi di Don DeLillo ci raccontano quattro decenni di paure, paranoie e contraddizioni della società americana – colorate dalla disinformazione da overdose d’informazioni, dalle moderne mitologie (complottiste, ufologiche ecc…) sorte a rimpiazzare i miti antichi, dalle omologazioni e dagli scarti della società di massa – che carambolano tra la sfera privata e quella pubblica dividendosi spesso in strati di significati e diversi livelli di lettura. Dalla fuga di un manager Newyorkese alla ricerca di sé, alle vicende di giocatori di football e di rockstar, a postmoderne versioni di Alice nel paese delle meraviglie, tra terroristi, vittime del terrorismo, performer, professori universitari, fantasmi, eremiti, le storie e personaggi dei romanzi di Don DeLillo ci mantengono in bilico tra realtà e finzione, nel costante dubbio che avvolge l’esistenza e la sua fine.

BIBLIOGRAFIA DEI ROMANZI DI DON DELILLO DAL 1971 AD OGGI

In questo articolo potete trovare tutti i romanzi di Don DeLillo pubblicati in Italia sino ad oggi in ordine cronologico dal suo esordio al titolo più recente, accompagnati da un breve estratto e dalla loro descrizione.

  1. 1971 AMERICANA (Americana)
  2. 1972 END ZONE (End Zone)
  3. 1973 GREAT JONES STREET(Great Jones street)
  4. 1976 LA STELLA DI RATNER (Ratner’s star)
  5. 1977 GIOCATORI (Players)
  6. 1978 RUNNING DOG (Running dog)
  7. 1982 I NOMI (The names)
  8. 1985 RUMORE BIANCO (White noise)
  9. 1988 LIBRA (Libra)
  10. 1991 MAO II (Mao II)
  11. 1997 UNDERWORLD (Underworld)
  12. 2001 BODY ART (The body artist)
  13. 2003 COSMOPOLIS (Cosmopolis)
  14. 2007 L’UOMO CHE CADE (The falling man)
  15. 2010 PUNTO OMEGA (Point Omega)
  16. 2016 ZERO K (Zero K)

AMERICANA

Don DeLillo esordisce nel 1971 con Americana  (tradotto da Marco Pensante e pubblicato in Italia da Il Saggiatore nel 2000, Net e successivamente pubblicato da Einaudi nel 2008).

don-delillo-americana

«- Che è successo al tuo posacenere?
– È dovuto tornare in ufficio – rispose lei. – Crisi improvvisa nel subcontinente.
– Dovrei essere in ufficio anch’io. Sono tutti là che scalpitano per prendere il mio posto. È come un torneo per vedere chi esce dall’ufficio per ultimo. Un tipo che si chiama Reeves Chubb dorme in ufficio più o meno tre notti a settimana. Ha i cassetti della scrivania pieni di camice sporche. Non andiamo mai in riunione nel suo ufficio se prima la segretaria non ci ha spruzzato il deodorante. Ma me la sto cavando bene. Forse un giorno o l’altro riuscirò perfino a prendermi una vacanza.
– Per andare a sciare? In mezzo a quelle ninfette con i maglioni tettuti.
– Non so – risposi. – Mi piacerebbe qualcosa di più sacrale. Esplorare l’America nella notte ruggente. Sai cosa intendo. Lo yin e lo yang nel Kansas. Ambienti del genere.»

Don DeLillo, Americana

Ventotto anni, bello, manager di una grande rete televisiva: David Bell è il sogno americano diventato realtà. Cinico yuppie ante litteram nella New York degli anni Settanta, si nutre delle stesse immagini che trasmette il suo network. Ma dalla vetta del successo, gli si spalanca davanti un vuoto insostenibile. Decide così di lasciare il suo ufficio a Manhattan e di iniziare un pellegrinaggio nel cuore dell’America a bordo di un camper con tre improbabili compagni e la cinepresa in spalla. Il suo piano: filmare la vita della gente comune nelle piccole città di provincia. Un viaggio per catturare i volti veri, la rabbia, i conflitti di cui è intessuto il paese. È il film della sua vita, il suo film, il folle tentativo di scrivere un pezzo di storia americana, con l’arma di un umorismo raggelante e con gli scarti della cultura di massa.

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END ZONE

Nel 1972 esce End zone (tradotto da Federica Aceto e pubblicato in Italia nel 2014 da Einaudi)

Don DeLillo End Zone

«- Questo latte è rancido, – gli disse Jessup.
– E cosa vuoi da me?
– Tu sei uno dei capitani. Vallo a dire al coach. Non dovrebbero darci latte del genere. Dovrebbero stare più attenti al latte che danno agli atleti.
– A casa mia dobbiamo stare attenti a quell’acqua di puntini puntini che ci ritroviamo, – disse Kimbrough.
– Invece a casa mia dobbiamo stare attenti all’acqua e al latte, – disse Raymond.
– È una vera merda, – disse Jessup. – Questo latte è la cagata peggiore che abbia mai bevuto in vita mia.
Kimbrough bevve dal suo minuscolo cartone.
– Credetemi, – disse. – Questo latte è rancidissimo.
– Altroché, – disse Jessup.
– Questo latte è contaminato. È rancido. È il peggior latte che abbia mai bevuto. A casa mia è l’acqua che fa schifo. Qui mi sa che è il latte. Devo assolutamente dirlo al coach.»

Don DeLillo, End Zone

Ci sono solo tre tipi di persone tra i giocatori di football, solo tre: i sempliciotti, i pazzi scatenati e gli esiliati. E se le prime due categorie sono abbastanza facili da capire, i piú affascinanti sono gli uomini che eleggono a patria il geometrico poligono del campo, coloro che nel gioco trovano una distanza in cui scontare l’esilio dalla Storia e dalla colpa. Gary Harkness è uno di questi uomini. Running back della squadra del Logos College – un posto in mezzo al deserto, «nella periferia della periferia del nulla, circondato da un terreno roccioso cosí piatto e brullo che evocava immagini da fine della Storia» -, Gary ha girato molte squadre e università prima di arrivare lí. Questo perché per applicare le regole di un gioco, sia esso il football o la scuola o la vita, bisogna crederci almeno un po’ a queste regole: e Gary invece sembra dotato di un’enorme, inesauribile incredulità. End zone è il racconto di una stagione di vittorie senza precedenti per la squadra della Logos, vittorie che però non danno a Gary quell’agognata pace spirituale che invece trova, inaspettatamente, in un altro «gioco». Proprio in quest’annata di trionfi, Gary inizia a sprofondare nello studio – uno studio che rasenta l’ossessione, la contemplazione, l’estasi – delle armi nucleari, delle strategie militari di annientamento globale, delle prove generali di apocalisse. Quella di Gary è una fuga dalla paura della morte, dal terrore del tempo e delle passioni, è la ricerca di una dimensione in cui «i pensieri siano improntati a una sana ovvietà, le azioni non siano gravate dalla Storia, dall’enigma, dall’olocausto o dal sogno». Ma nel momento in cui manca la morte, manca anche la trascendenza e quindi l’accesso al sublime: il linguaggio non trasmette piú niente – il senso passa da una parte all’altra come una palla stretta da un giocatore impazzito – e l’apocalisse diventa un’opzione come un’altra. È questa la grande sfida, la partita decisiva, giocata da Don DeLillo fin da questo suo secondo romanzo e che fa dell’autore di Underworld e Rumore bianco il grande cantore della contemporaneità.

«Il talento con cui DeLillo costruisce le scene, la leggerezza e lo humour della voce narrante, l’inventiva dei passaggi dedicati al football, una partita che dovrebbe essere insegnata nelle scuole di scrittura: sono solo alcune delle cose che rendono questo romanzo semplicemente meraviglioso».

«The New York Times»

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GREAT JONES STREET

Nel 1973 è la volta di Great Jones street  (tradotto da Marco Pensante e pubblicato in Italia da Il Saggiatore nel 1997 e successivamente pubblicato da Einaudi nel 2009)

Don DeLillo Great Jones street

«Verso la fine dell’ultimo tour era diventato chiaro a tutti che il nostro pubblico voleva qualcosa di più della musica, più ancora che sentirsi rimandare dal palco il proprio clamore duplicato. Forse la cultura aveva raggiunto il suo limite, un punto di tensione estrema. In quelle ultime settimane ai nostri concerti il senso consueto di abbandono viscerale era diminuito. Pochi incendi dolosi e atti di vandalismo. Ancora meno stupri. Niente lacrimogeni né minacce di ordigni peggiori. Ormai i nostri seguaci, nel loro isolamento, non si curavano più del pregresso. erano liberati dai santi e dai martiri di ieri, ma liberati in modo spaventoso, abbandonati alla propria corporeità non più etichettata. Chi rimaneva senza biglietto non sfondava più i cancelli, e durante i concerti notavo che i ragazzi e le ragazze asserragliati contro il palco, sotto di noi, sembravano nutrire per me un amore meno omicida, come se si rendessero finalmente conto che la mia morte, per essere autentica, doveva arrivare per mia volontà. un insegnamento efficace solo se praticato di mia mano, preferibilmente in qualche paese straniero. Cominciavo a pensare che la loro formazione non sarebbe stata completa finché non mi avessero superato nel mio ruolo di maestro, finché un giorno non si sarebbero imitati a restituirci solo la pantomima di quel responso corale unanime che la band era abituata a suscitare in loro. Durante i concerti si sarebbero limitati a saltare, ballare, buttarsi a terra, abbracciarsi e agitare le mani ma senza emettere il benché minimo suono. Noi ci saremmo trovati al centro di uno stadio gigantesco, come in un pozzo incandescente, circondati da onde selvagge di corpi nel più assoluto silenzio. Le ultime nostre canzoni, senza le urla del pubblico, sarebbero diventate praticamente prive di senso, e a quel punto non ci sarebbe stata alternativa se non smettere di suonare. Uno scherzo crudele e profondo. Una lezione. Di qualcosa o qualcos’altro.»

Don DeLillo, Great Jones street

La rockstar Bucky Wunderlick, all’apice della fama, decide di abbandonare il suo gruppo mentre è in corso una tournée. Si rifugia in un angolo nascosto di New York, in un appartamento di Great Jones Street, per sfuggire al culto della personalità di cui è oggetto e a un successo in cui non crede piú. L’esilio del protagonista, però, è continuamente disturbato dalle visite piú disparate: giornalisti a caccia di scoop, agenti interessati a certe sue incisioni inedite, emissari di una misteriosa comune agricola che tentano di coinvolgerlo nel commercio di una nuova e potente droga carpita ai laboratori federali. In queste pagine DeLillo mostra tutta la maestria di linguaggio che lo ha reso uno dei protagonisti della letteratura contemporanea.

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LA STELLA DI RATNER

Il 1976 vede nascere Ratner’s star, (tradotto da Matteo Colombo e pubblicato in Italia nel 20011)

Don De Lillo La stella di Ratner

«– Ok, e in che cosa è specializzato?
– Superfici nūteane.
– Mai sentite.
– Sono pseudosferiche.
– Io in zorg.
– Conosco bene, – disse Nūt. – Saremo degni avversari. Due intelletti mastodontici. È naturale che ci si incontri sul campo di battaglia. Ma devo avvertirla. Io non faccio prigionieri.
– Come possiamo fare?
– Due su tre, – disse l’ometto.
Il suo viso era scomparso dietro il vapore prodotto dal respiro sul vetro. Con il dito indice disegnò un sorriso ironico sul secondo viso informe creato dal vapore.[…]
[…] – Tre domande io, tre domande lei, – disse Nūt. – In caso di parità, un osservatore neutrale ne farà altre tre. Si vince con due serie su tre. Non risponda troppo rapidamente. Ci sono stratificazioni di significato.
– Sono pronto.
– Domanda numero uno. Un’equazione di grado n quante soluzioni può avere?
– Può avere n soluzioni.
– Non abbia fretta di dare la risposta giusta. Possono derivarne tragici errori.
– È abbastanza ovvio. La risposta è n.
– Domanda numero due. Ricordi: stratificazioni di significato. Utilizzando non piú di due parole, come definirebbe una geometria che non sia euclidea?
– Non euclidea.
– Domanda numero tre. Sta rispondendo troppo in fretta. Di quante dimensioni parlo quando dico «parecchie dimensioni»?
– Di un gran numero di dimensioni, la cui quantità esatta non è però specificata.
– La sintassi conta. Hoy Hing Toy annuí lentamente, e Billy non capí se per concordare con le risposte o per rendere silenzioso omaggio alla sottigliezza delle domande. Le domande non avevano nulla di particolare, trovava, se non il fatto di essere infantili. Quelle domande lo facevano propendere fortemente per l’ipotesi che Timur Nūt non fosse chi sosteneva di essere. Certo, aveva accennato due volte a una presunta stratificazione di significati. Ciò indicava una qualche trappola logica. Rispondere a domande cosí semplici era tutt’altro che impossibile. Le ripassò mentalmente una a una, ed erano semplici, è vero, ma nel modo piú stupido, specie quella sulle «parecchie dimensioni», anche se «non euclidea in due parole» non era molto da meno.»

Don DeLillo, La stella di Ratner

Billy Twillig è un premio Nobel, il più geniale matematico della sua epoca, il massimo esperto in un campo di studi così specializzato ed estremo da coincidere, praticamente, con la sua sola persona. E ha quattordici anni. È stato prelevato da forze non meglio precisate e condotto in una località segreta dell’Asia centrale per partecipare all’Esperimento sul campo numero uno: un enorme centro di ricerca in cui studiosi di tutto il mondo cercano di raggiungere «la conoscenza. Studiare il pianeta. Osservare il sistema solare. Ascoltare l’universo. Conoscere noi stessi». Billy è stato convocato perché rappresenta l’unica speranza per decifrare il mistero supremo: tempo fa, proveniente dalla lontana stella di Ratner, è giunto un segnale radio che ha tutta l’apparenza di un messaggio da un’intelligenza aliena. Ma nemmeno la più alta concentrazione di scienziati del pianeta è riuscito a decodificarlo. Finora. Per la prima volta tradotto in italiano, La stella di Ratner è, fin dal suo apparire nel 1976, tra tutti i romanzi di Don DeLillo l’oggetto del culto più tenace, enigmatico e sotterraneo. Qualche anno più tardi, tentando di spiegarne il segreto, lo stesso DeLillo dirà: «Ho provato a scrivere un romanzo che non solo avesse la matematica tra i suoi argomenti, ma che, in un certo senso, fosse esso stesso matematica. Doveva incarnare un modello, un ordine, un’armonia: che in fondo è uno dei tradizionali obiettivi della matematica pura». Un libro, in altri termini, in cui la forma e la teorizzazione della forma coincidono con il contenuto: in cui gli opposti si riversano l’uno nell’altro in una fuga senza fine, come in un nastro di Möbius o nel simbolo dell’infinito. E tutto ciò DeLillo lo fa con una versione postmoderna di Alice nel paese delle meraviglie (richiamata fin dai titoli delle due parti del romanzo: Avventure e Riflessi ), costruendo un testo che riesce a essere al medesimo tempo un concentrato di humour, una satira delle umane, universali ambizioni e dei moderni fallimenti tecnico-burocratici, un «ritratto d’artista» e un romanzo di formazione. Ma forse la migliore descrizione della Stella di Ratner è racchiusa fra le pagine del libro: «un romanzo sperimentale, un’allegoria, una geografia lunare, una magistrale autobiografia, un criptico trattato scientifico, un’opera di fantascienza».

«Qualcuno ha detto che La stella di Ratner è il mostro al centro della mia produzione. Ma forse è come se fosse in orbita, in orbita attorno ai miei altri libri». Don DeLillo

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GIOCATORI

Nel 1977 è il turno di Players (tradotto da Maria Teresa Marenco e pubblicato in Italia da Pironti nel 1993 e successivamente pubblicato da Einaudi nel 2005)

Don DeLillo Giocatori

«I golfisti in questo dolce mattino verde procedono con la partita. Di nuovo temporaneamente insieme in una fairway, sembrano quasi un orgoglioso gruppo in posa di fronte a una bandiera distante. Ed è in questo momento che la cosa vigile e nascosta, la cui speciale presenza era implicita nell’uso del teleobiettivo, viene svelata. Un uomo, di spalle rispetto all’obiettivo, uscendo dai cespugli compare in primo piano, a circa duecento metri dai golfisti. Quando si gira per fare un segnale a qualcuno, è evidente che nella mano destra ha un’arma, un fucile semiautomatico. Lanciato il segnale, non si riaccostai. Uno dei golfisti sceglie un iron.»

Don DeLillo, Giocatori

Lyle, agente di cambio, e sua moglie Pammy sembrano una coppia in apparenza soddisfatta e felice. In realtà sono due newyorkesi annoiati dal lavoro e dalla vita coniugale. A loro non basta vivere una sola vita: Pammy parte per il Maine insieme a una coppia di omosessuali e diventa l’amante di uno dei due, mentre Lyle avvia una relazione con una misteriosa segretaria e si ritrova doppio agente tra FBI e una cellula terrorista; si sviluppano così, come dice lo stesso autore, “due trame segrete”. Un libro che evoca i rischi di catastrofe annidati nella quotidianità, l’attrazione esercitata dalle organizzazioni segrete e l’incombere di dimensioni tecnologiche che spiazzano la personalità.

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CANE CHE CORRE – RUNNING DOG

Nel 1978 pubblica Running dog (tradotto da Livia Fascia e pubblicato in Italia da Pironti nel 1991 e successivamente tradotto da Silvia Pareschi e pubblicato da Einaudi nel 2006)

Don DeLillo Running dog

«Ora, a est, vedi quattro lettere tracciate con la vernice spray sul lato di un edificio. Uno scarabocchio senza senso. ANGW. Ma ha qualcosa di familiare, scava un buco nel tempo. Ed ecco che ti torna alla mente, da una distanza di più di vent’anni. La gita a Salisburgo. I cugini, i giochi, il museo. Quattro lettere incise su un’alabarda da cerimonia. la spiegazione di tuo padre: Alles mach Gottes Willen.
Da allora le armi sono diventate empie. Hanno perso la fede. E i bambini sono cresciuti, scoprendo di aver percorso singolari distanze. Ora è imminente, lo senti, qualcuno ti aspetta dietro l’angolo, una contrattazione silenziosa che non ha nulla a che vedere con merci e servizi; solo ciò che siete realmente, anime che si aggirano nella notte concludendo accordi. Un’oscura esaltazione cresce ad ogni passo.
Tutto secondo la volontà di Dio. Il Dio del Corpo. Il Dio del Rossetto e della Seta. Il Dio del Nylon, del Profumo e dell’Ombra.»

Don DeLillo, Running dog

Tutto inizia con un cadavere: quello di un uomo vestito da donna, abbandonato in un cantiere. La polizia fa ipotesi banali, solo un certo Lightborne, negoziante e collezionista di curiosità erotiche, crede di sapere la verità. La vittima sarebbe venuta in possesso di un documento unico: il filmato di un’orgia con Hitler protagonista, nel bunker sottostante il Reich, pochi giorni prima della fine del nazismo. Diverse persone – una giornalista di estrema sinistra, un agente segreto, un gallerista coinvolto nei traffici della pornografia, tre reduci del Vietnam – si lanciano alla ricerca del misterioso film.

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I NOMI

Il 1982 è l’anno di The names (tradotto da Amalia Pistilli e pubblicato in Italia da Pironti nel 1990 e successivamente pubblicato da Einaudi nel 2004)

Don DeLillo I nomi

«Owen Brandemas diceva spesso che anche ciò che sembra casuale assume un aspetto ideale e giunge a noi in forme pittoriche. È tutta una questione di saper vedere, ed egli vedeva un disegno nelle cose, vedeva momenti nel flusso.»

Don DeLillo, I nomi

Fine degli anni Settanta: è il periodo della rivoluzione islamica in Iran, della crisi energetica, dei sequestri terroristici. James Axton, un americano che svolge analisi di rischio per una compagnia assicurativa, si occupa di dare notizie sulla situazione geopolitica in Medio Oriente. Dal suo ufficio di Atene va a trovare la moglie e il figlio che vivono in un’isoletta dell’Egeo. Qui Axton viene a conoscenza di un omicidio rituale, forse l’ultimo anello di una misteriosa catena di delitti. E inizia a indagare, seguendo le tracce di una setta misteriosa, che lo affascina. Dalla Grecia la vicenda si snoda attraverso un emozionante viaggio in Oriente. Un thriller che evoca il potenziale magico del linguaggio.

«Quasi ogni pagina dei Nomi dà prova dell’ingegno e dell’originalità del suo autore».

The New Yorker

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RUMORE BIANCO

Nel 1985 è il momento di White noise (tradotto da Mario Biondi e pubblicato in Italia da Pironti nel 1987 e successivamente pubblicato da Einaudi nel 1999)

Don DeLillo Rumore Bianco

«La famiglia è la culla della disinformazione mondiale. Nella vita di famiglia dev’esserci qualcosa che genera gli errori di fatto. L’eccesso di vicinanza, il rumore e il calore dell’essere. Forse anche qualcosa di piú profondo, come il bisogno di sopravvivere. Murray sostiene che siamo creature fragili, circondate da un mondo di fatti ostili. I fatti minacciano la nostra felicità e sicurezza. Piú a fondo investighiamo nella natura delle cose, piú incerta può sembrar diventare la nostra struttura. Il processo famigliare tende a escludere il mondo. Piccoli errori diventano capitali, le finzioni proliferano. Io gli replico che ignoranza e confusione non possono essere le forze motrici che stanno dietro la solidarietà famigliare. Che idea, che sovversione! Lui mi chiede perché mai, allora, le unità famigliari piú forti si trovano nelle società meno sviluppate. Il non sapere è lo strumento della sopravvivenza, sostiene. Magia e superstizione si ossificano a diventare la poderosa ortodossia di clan. La famiglia è piú forte là dove è piú probabile che la realtà oggettiva venga malintesa. Che teoria spietata, dico. Ma lui insiste che è vera.»

Don DeLillo, Rumore Bianco

Jack Gladney è professore di studi hitleriani presso un campus dove i detriti della cultura popolare americana sono divenuti la nuova bibbia e il supermarket la sua biblioteca. Come dice Murray J. Siskind, collega di Jack e profeta dell’apocalisse postmoderna, il supermarket è un luogo saturo di onde, radiazioni, lettere e numeri, voci e suoni in attesa di essere decodificati. Ma la vita rassicurante e consumistica di Jack e della sua famiglia ultramoderna viene improvvisamente inghiottita da una nube letale, l’evento tossico aereo, espressione concreta della miriade di altri eventi tossici onnipresenti tra le mura domestiche: trasmissioni radio, sirene, microonde, la voce incessante della tv. La paura della morte che accomuna Jack e la quarta moglie Babette diviene cosí una forza prorompente, un raggio di luce nera in grado di perforare il muro di “rumore bianco” che avvolge questo capolavoro di fine millennio.

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 LIBRA

Segue nel 1988 Libra (tradotto da Agnese Micheluzzi e Carmen Micillo e pubblicato in Italia da Pironti nel 1989 e successivamente tradotto da Massimo Bocchiola e pubblicato da Einaudi nel 2000)

Don DeLillo Libra

«Ci sono cose che aspettiamo per tutta la vita senza saperlo. Poi ne succede una, e improvvisamente sappiamo chi siamo e come intendiamo procedere. Questa è l’idea che io ho sempre voluto. Secondo me, capirete che è giusta. Abbiamo bisogno di rischiare forte. Ci serve un fatto elettrizzante. E voi l’avete aspettato proprio come l’ho aspettato io. Non ho dubbi, altrimenti non vi avrei chiesto di venire qui. Noi vogliamo organizzare un attentato alla vita del presidente.»

Don DeLillo, Libra

John e Jacqueline Kennedy sfilano in un corteo di automobili «dentro il fuoco del mezzogiorno» di Dallas. Tutto sembra cosí dolorosamente chiaro, tutto è «luce e cielo». E tra i riflessi e i luccichii di automobili, lenti fotografiche e acciaio di armi, sotto il sole sfolgorante si compie il sacrificio: Lee Harvey Oswald, bene in vista nella grande vetrata del Texas School Book Depository, spara contro il presidente Kennedy, bene in vista sul sedile della Lincoln scoperta. Carnefice e vittima uniti nel fulgore, nel lampo che cambierà il mondo. Perché da quel 22 novembre 1963, per Don DeLillo, come per milioni di altre persone, l’America non è piú stata la stessa.
Con una scrittura scabra e affilata, DeLillo penetra nei covi degli attentatori, nelle tenebre dell’inconscio degli ex agenti dell’Fbi e anche di Oswald, il loro burattino, il ragazzo dall’identità e dal passato incerti. Cosí viene alla luce tutto quello che sull’assassinio di Kennedy è stato detto e smentito, gridato e sussurrato, fino alla scena sacrificale di Dallas.

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MAO II

Il 1991 è l’anno di Mao II (tradotto da Delfina Vezzoli e pubblicato in Italia nel 1992)

Don DeLillo Mao II

«Karen lancia un’occhiata a Kim Jo Pak, dagli occhi dolci e grassoccio nel suo bel vestito nuovo e con le scarpe pesanti, marito per l’eternità.
Sa che i suoi genitori carnali sono in tribuna da qualche parte. Sa cosa stanno dicendo, ne vede i gesti e le espressioni. Papà che cerca di ricorrere alla sua vecchia logica da college per dare un senso a tutto questo. Mamma che sfoggia quello sguardo angosciato che vuol dild che è stata messa al mondo espressamente per soffrire. Ci circondano da ogni parte, a migliaia, i genitori, spaventati dalla nostra intensità. È questo che li spaventa. Noi crediamo davvero. Ci educano a credere, ma quando gli mostriamo la vera fede chiamano lo psichiatra e la polizia. Noi sappiamo chi è Dio, questo ci rende pazzi di fronte al mondo.»

Don DeLillo, Mao II

Che cosa unisce seimilacinquecento coppie di uno sposalizio di massa nello Yankee Stadium, un famoso scrittore ostinatamente misantropo e un funzionario svizzero ostaggio a Beirut? Dai funerali di Khomeini al massacro di Tienanmen, la realtà del mondo è che sette uomini senza nome posseggono tutto e ci muovono come trottole. La vita dello scrittore McGray di colpo s’intreccia con il terrorismo internazionale mentre una fotografa cerca di catturare le immagini della sua esistenza solitaria. Ancora una volta, DeLillo compone un affresco epocale dove le vite degli individui qualunque incontrano i grandi eventi della Storia, in uno spietato confronto fra destino personale e perpetuo movimento delle masse, incontrollabile solo all’apparenza. Come in altri suoi capolavori, DeLillo ritrae il mondo in una prospettiva planetaria la cui sorte sembra un’inevitabile, spontanea apocalisse collettiva. Lo fa con la sua solita ironia, elegante e tremenda, e con una beffarda voglia di provocazione.

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UNDERWORLD

Nel 1997 è la volta di Underworld, (tradotto da Delfina Vezzoli e pubblicato in Italia nel 1999)

Don DeLillo Underworld

«Dice che l’immondizia è la gemella del diavolo. Perché l’immondizia è la storia segreta, la storia che sta sotto, il modo in cui l’archeologo dissotterra la storia delle culture precedenti, ogni mucchio d’ossa e strumento rotto, letteralmente dissotterrato. […] Tutti quei decenni, dice, in cui pensavamo in continuazione alle armi e mai alle scorie che si moltiplicavano in segreto.»

Don DeLillo, Underworld

Il 3 ottobre 1951 al Polo Grounds di New York si gioca una leggendaria partita di baseball tra i Giants e i Dodgers. Della palla con cui viene battuto l’altrettanto leggendario fuoricampo che assicura la vittoria del campionato ai Giants si impadronisce un ragazzino nero di Harlem Cotter, Martin. Ritroveremo la palla cinquant’anni dopo in possesso di Nick Shay Costanza un dirigente dell’industria dello smaltimento dei rifiuti che nel 1951 era a sua volta ragazzino un passo più in là, nel Bronx. Nel romanzo di DeLillo i passaggi di mano della mitica palla servono da pretesto per la costruzione di un gigantesco quadro dell’America dalla guerra fredda fino alla crisi di Cuba e al crollo dell’Unione Sovietica.

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BODY ART

Nel 2001 vede la luce The body artist (tradotto da Marisa Caramella e pubblicato in Italia lo stesso anno)

Don DeLillo Body Art

«In passato, ha abitato i corpi di adolescenti, predicatori fondamentalisti, una donna ultracentenaria, che viveva di yogurt e, performance davvero memorabile, un uomo incinto. Ma in questa opera la sua arte è oscura, lenta, difficile e a volte tormentosa. E non è mai il tormento grandioso di nobili immagini e ambienti. È un tormento che ha a che fare con me e con voi. Quello che inizia come solitaria alterità diventa familiare e addirittura personale. Ha a che fare con chi siamo quando non stiamo recitando chi siamo.»

Don DeLillo, Body Art

Chi è lo sconosciuto dall’aspetto dolce e infantile per cui tempo, spazio e linguaggio non hanno senso? O almeno non lo stesso senso che hanno per noi. O per Lauren, la giovane body artist che se lo trova davanti all’improvviso in una delle tante stanze della vecchia casa sulla costa del Maine dove vive sola. Rey, suo marito da pochi mesi, si è suicidato, e lo sconosciuto parla con la sua voce, pronuncia frasi che Lauren è sicura di avere già sentito…
Una storia di fantasmi, forse. L’allucinazione di un’artista costretta a confrontarsi con un dolore piú grande di lei, una meditazione sul tempo e sullo spazio e un viaggio dentro il mistero della creazione artistica. Don DeLillo scrive un libro scarno e perturbante che racconta la storia di un abbandono e traccia il diario di ogni solitudine.

«Il tempo sembra passare. Il mondo accade, gli attimi si svolgono, e tu ti fermi a guardare un ragno attaccato alla ragnatela. C’è una luce nitida, un senso di cose delineate con precisione, strisce di lucentezza liquida sulla baia. In una giornata chiara e luminosa dopo un temporale, quando la piú piccola delle foglie cadute è trafitta di consapevolezza, tu sai con maggiore sicurezza chi sei».

Don DeLillo, Body Art

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COSMOPOLIS

Nel 2003 è il turno di Cosmopolis (tradotto da Silvia Pareschi e pubblicato in Italia lo stesso anno)

Don DeLillo Cosmopolis

«Ora il sonno lo abbandonava più spesso, non una o due bensì quattro, cinque volte la settimana. Che cosa faceva in quei momenti? Non passeggiava a lungo dentro gli arabeschi dell’alba. Non aveva un amico tanto intimo da sopportare il tormento di una telefonata. Cosa dirgli? Era una questione di silenzi, non di parole.»

Don DeLillo, Cosmopolis

Aprile 2000. Mattina. Sull’East River. Il giovane miliardario Eric Packer esce dal suo lussuoso attico a tre piani e sale sulla limousine bianca per andare a tagliarsi i capelli a Hell’s Kitchen. È l’inizio di un viaggio lungo un giorno che lo porterà ad attraversare Manhattan per andare incontro al proprio destino. Durante il tragitto Packer, ossessionato da una folle scommessa finanziaria contro lo yen e da un’oscura «minaccia attendibile» alla propria incolumità, incontra gli uomini e le donne della sua vita sullo sfondo di scenari erotici, o tragici, o enigmatici. Con un vivace alternarsi di situazioni metafisiche e comiche, dove il tempo subisce un’accelerazione e il presente finisce per confondersi con il futuro, Don DeLillo dimostra ancora una volta di saper descrivere il mondo contemporaneo con una profondità che sfiora la premonizione.

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L’UOMO CHE CADE

Il 2007 vede la nascita di The falling man (tradotto da Matteo Colombo e pubblicato in Italia nel 2008)

Don DeLillo L'uomo che cade

«Aveva sentito parlare di lui, un artista performativo noto come L’uomo che cade. Era apparso diverse volte, la settimana prima, senza preavviso, in vari punti della città, appeso a questa o quella struttura, sempre a testa in giù, con indosso giacca e pantaloni, una cravatta e scarpe eleganti. Richiamava alla memoria, naturalmente, quei momenti assoluti nelle torri in fiamme, quando la gente era precipitata, o era stata costretta a saltare.»

Don DeLillo, L’uomo che cade

Keith Neudecker lavora nelle Twin Towers e sopravvive al crollo di una delle due. Si ritrova coperto di cenere, vetro e sangue, in mano stringe una valigetta non sua. Scioccato, si fa portare a casa della moglie Lianne, dalla quale si era separato da oltre un anno. Keith e Lianne cercano di riavvicinarsi, con loro c’è il figlio Justin, che passa le giornate scrutando il cielo alla ricerca di altri aerei mandati da Bill Lawton (cosí, con i suoi amici, Justin storpia il nome di bin Laden). Dalla valigetta Keith risale a Florence, un’altra sopravvissuta, che inizia a frequentare all’insaputa della moglie. Una relazione, anche sessuale, retta sul trauma che li accomuna. Nella seconda parte compare Nina, la madre di Lianne. Da dopo il suicidio del marito sta con Martin, un uomo ambiguo che ha vissuto tra gli Stati Uniti e l’Europa: un miscredente, un occidentale, un bianco, ma forse anche un terrorista. Tre anni dopo, il tentativo di ricostruire la famiglia è fallito: Keith trascorre lunghi periodi in viaggio, da Parigi a Las Vegas, immerso nei tornei di poker, assorbito in una vita che lo riduce quasi una cosa; Lianne aiuta con corsi di scrittura creativa anziani affetti dall’Alzheimer e si è avvicinata alla religione cattolica. Le loro vite sono intersecate dall’uomo che cade, un performer che si lancia in caduta statica da vari punti della città, assumendo le posizioni di un uomo che si era buttato dalle Torri prima del crollo: “a testa in giú, con le braccia tese lungo i fianchi, un ginocchio sollevato“.

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PUNTO OMEGA

Nel 2010 esce Point Omega (tradotto da Federica Aceto e pubblicato in Italia lo stesso anno)

Don DeLillo Punto omega

«Tutti guardavano qualcosa. Lui guardava i due uomini, i due uomini guardavano lo schermo, Anthony Perkins dallo spioncino guardava Janet Leigh che si spogliava.
Nessuno guardava lui. Era proprio il mondo ideale, come se lo sarebbe fatto lui su misura. Non aveva idea di come appariva agli occhi degli altri. Non sapeva nemmeno come appariva ai suoi stessi occhi. Appariva come ciò che vedeva sua madre quando lo guardava. Ma sua madre era morta. Ecco allora un quesito per gli studenti più avanzati. Cos’era rimasto di lui che gli altri riuscivano ancora a vedere?»

Don DeLillo, Punto Omega

Leggere questo libro è come guardare il volto di Medusa del tempo. Non il tempo dei tuoi traffici e dei tuoi amori, «news e traffico, sport e meteo“, delle tue piccole o grandi storie, non il tempo delle città che “sono state costruite per misurare il tempo, per togliere il tempo dalla natura”, bensì il tempo geologico, il tempo che diventa cieco, il tempo in cui ogni momento perduto è la vita, la nuda vita.

New York. Un giovane aspirante cineasta chiede a un noto studioso che per anni ha fatto il consulente del Pentagono di registrare un video in cui raccontare la sua esperienza. Un video confessione, sospetta lo studioso, che si nega, recalcitra, sfugge, ma alla fine invita il cineasta in un posto perduto nel deserto, in California, non lontano da San Diego. Sarà per qualche giorno, si dice il giovane. Trova un biglietto economico e parte. Ma lo studioso non vorrà concedere alcuna ripresa, convinto com’è che «la vita vera non si può ridurre a parole dette o scritte, nessuno può farlo, mai. La vita vera si svolge quando siamo soli, quando pensiamo, percepiamo, persi nei ricordi, trasognati eppure presenti a noi stessi, gli istanti submicroscopici». Desidera solo che l’altro gli stia accanto, in un posto troppo vasto, indifferente e bellissimo in cui i tramonti non siano che un essenziale cambiamento di luci e dove l’unica cosa che accade sia il tempo. Non il passare del tempo, ma il tempo come percezione essenziale di ogni singolo istante. È una prova generale dell’amicizia. Ma come tutto ciò che è essenziale, anche questa specie di tempo è un sogno troppo superbo per l’essere umano che esiste proprio perché dimentica il tempo. Qualcuno, qualcosa – l’ombra del crimine, l’angoscia della fine – verrà da fuori, da news e traffico, sport e meteo, a riportare i due in città. A riportarli nel mondo dei compromessi, delle responsabilità individuali, dei precari affetti. Il punto omega è stato immaginato dalla fisica più metafisica. Suoi attributi sono che è sempre esistito, è personale e unisce il creato in forme sempre più complesse, è trascendente, è libero da limitazioni di spazio e di tempo, e deve offrire la possibilità di essere raggiunto.

«Don DeLillo ha imposto la sua sintassi alla realtà».

Geoff Dyer, «The New York Times Book Review»

«Nessun autore contemporaneo scrive con altrettanto acume del potere e del suo corollario: la violenza».

Ludovic Hunter-Tilney, «Financial Times»

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 ZERO K

Nel 2016 esce Zero K (tradotto da Federica Aceto e pubblicato in Italia lo stesso anno)

Don DeLillo Zero k

«E adesso Artis in questo posto quasi incredibile, questa apparizione nel deserto, Artis che stava per essere sottoposta alle procedure di conservazione, un corpo di ghiaccio dentro un’enorme camera sepolcrale. Dopodiché, un futuro al di là di ogni immaginazione. Solo a pensarle, quelle parole. Tempo, destino, possibilità, immortalità. Ed ecco il mio passato ingenuo, la mia storia con le fossette, i momenti che non posso fare a meno di evocare perché sono miei, che non posso non vedere e non percepire, quei momenti che si materializzano tutto attorno a me.»

Don DeLillo, Zero k

Il padre di Jeffrey Lockhart, Ross, è un magnate della finanza sulla sessantina, con una moglie piú giovane, Artis Martineau, gravemente malata. Ross è uno dei finanziatori di Convergence, un’azienda tecnologica con una futuristica sede ultrasegreta nel deserto del Kazakistan. Attraverso le ricerche biomediche e le nuove tecnologie informatiche, a Convergence possono conservare i corpi e le coscienze fino al giorno in cui la medicina potrà guarire ogni malattia. Decidono cosí di affidarsi a Convergence: prima Artis poi lo stesso Ross, incapace di continuare a vivere senza l’amata compagna. Cosí Jeff si riunisce con il padre e la moglie per quello che sembra un addio – o forse un arrivederci. Jeff è turbato: non capisce se a Ross è stato fatto il lavaggio del cervello dagli uomini di Convergence (un gruppo che ha non poco in comune con una setta religiosa o un manipolo di body artist) oppure se è la decisione consapevole e radicale di un uomo tanto ricco e potente che ha deciso di possedere anche la morte. Ma questa è anche l’occasione per ristabilire un rapporto – ammesso che non sia troppo tardi – con il padre: una relazione incrinata anni prima, quando il genitore decise di lasciare la madre di Jeff. Zero K possiede la potenza solenne e ricapitolativa dei libri che sanciscono un’epoca e aprono al futuro. È come se con questo libro DeLillo ripercorresse, attraversandola, tutta la sua produzione: da Rumore bianco – le immagini dei disastri come unica, grande narrazione del nostro tempo – a Underworld – certe scene, di struggente dolcezza, di vita quotidiana nel Bronx -, dalla Stella di Ratner a L’uomo che cade, da Mao II a Cosmopolis. Ma, come mai prima, in Zero K DeLillo affronta direttamente quella «cosa» indefinibile che da sempre ossessiona la sua ricerca letteraria, quel mistero proteiforme che di volta in volta, semplificando, chiamiamo tempo, identità, linguaggio, memoria, morte. Zero K è una riflessione vertiginosa sullo scontro – che nella nostra epoca ha assunto nuovi, violentissimi sviluppi – tra scienza e religione per il controllo della vita umana. Una guerra il cui campo di battaglia è l’assoluto. Allo stesso tempo Zero K è un delicato concerto da camera, intimo e riflessivo, sui sentimenti di un figlio di fronte all’estrema decisione di un padre; sull’impossibile ma ineludibile necessità di dirsi addio. Nessun libro, finora, aveva saputo mantenere uno sguardo tanto lucido e allo stesso tempo visionario sul pianeta Terra ad altezza del ventunesimo secolo.

«Zero K è il romanzo piú bello di Don DeLillo dai tempi di Underworld».
Michiko Kakutani, «The New York Times»

«Jeffrey Lockhart scopre che il padre, un finanziere di sconfinata ricchezza, ha deciso di preservare criogenicamente il corpo della giovane moglie malata fino a che i progressi della medicina non potranno salvarla: Don DeLillo si immerge negli abissi di un tema estremo, resistendo a ogni cliché, e ne riemerge con qualcosa che è allo stesso tempo nuovo e universale».
«The Huffington Post»

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