«Nacqui due anni dopo il Gran Terremoto. Dieci anni prima mio nonno, in seguito a uno scandalo scoppiato mentre copriva la carica di governatore coloniale, si era addossato la colpa delle malefatte d’un subalterno e aveva dato le dimissioni. (Non parlo per eufemismo: mai ho visto a tutt’oggi tanta sciocca fiducia negli esseri umani paragonabile a quella che professava mio nonno.) Di conseguenza la mia famiglia si era messa a sdrucciolare lungo un piano inclinato con una celerità cosí incosciente che, starei per dire, i suoi membri canticchiavano un allegro motivo durante il percorso: debiti colossali, ipoteche inestinte, vendite dei beni immobili e poi, col moltiplicarsi delle difficoltà economiche, una vanità morbosa divampante sempre piú in alto come un impulso malvagio… Il risultato di questa situazione fu che nacqui in un quartiere non troppo fine di Tokyo, in una vecchia casa d’affitto situata sull’angolo della strada. Quell’edificio pretenzioso aveva un aspetto alquanto caotico e dava un’impressione di sordido, di legno bruciacchiato. C’era un giardino sulla facciata con un imponente cancello di ferro battuto, e c’era un salotto da ricevere in stile occidentale, ampio come l’interno d’una chiesa della periferia. Due piani occupavano la parte superiore del pendio sul quale sorgeva la casa, e tre quella inferiore, e sei cameriere circolavano per le sue numerose, lugubri stanze. In questa casa, che scricchiolava come un vecchio canterano, dieci persone si alzavano e si coricavano regolarmente al mattino e alla sera: i miei nonni, i miei genitori e le domestiche. Alla radice dei guai che afflissero la nostra famiglia stavano la passione per le speculazioni rischiose di mio nonno e la malattia e le abitudini spenderecce di mia nonna. Il nonno, tentato dalle macchinazioni che venivano a sottoporgli certi suoi camerati di carattere equivoco, si metteva spesso in viaggio per luoghi lontani, cullando sogni d’oro e di opulenza. La nonna proveniva da un’antica stirpe; detestava e disprezzava il marito, e era d’animo retrivo, indomito, e confusamente poetico. Un’incurabile nevralgia cranica le stava rodendo i nervi con assalti indiretti ma incessanti, e al tempo stesso arricchiva la sua intelligenza d’una vana sagacia. Chi sa se quegli accessi di depressione che la vecchia signora continuò a avere fino alla morte non erano un memento dei vizi ai quali il nonno si era abbandonato nel pieno dell’età virile?»
Confessioni di una maschera di Yukio Mishima. Feltrinelli Editore. Edizione del Kindle (2013).
Un giovane cui “difetta in via assoluta qualsiasi forma di voglia carnale per l’altro sesso” deve imparare a vivere celando la propria autentica identità. In pagine in cui risultano indissolubilmente commisti sessualità e candore, esultanza e disperazione, il protagonista di questo romanzo confessa le esperienze cruciali attraverso le quali è giunto a conoscere se stesso: dalla “adorazione indicibile” per un paio di calzoni all’elaborazione di fantasie sadomasochistiche, dall’identificazione con personaggi femminili celebri alle sconcertanti interpretazioni di fiabe e motivi iconografici occidentali… L’accettazione di se stesso come uomo diverso dagli altri uomini non si attua senza una lotta, tanto strenua quanto vana, per conquistare la normalità: simula vizi immaginari per far passare inosservate le proprie vere inclinazioni, si costringe a corteggiare giovinette per chiarire sino a qual punto la donna possa offrire piaceri reali, corregge con zelo manifestazioni di rischiosa passionalità… Ma “le emozioni non hanno simpatia per l’ordine fisso” e i suoi sentimenti reali rimangono, tenaci, quelli nascosti dalla maschera della correttezza ufficiale.
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